Una delle caratteristiche che più distinguono l’umanità dagli altri esseri viventi è la capacità di afferrare il concetto della morte, capire le limitazioni che ciò comporta e di reagirvi emotivamente, ma anche la consapevolezza che un giorno la propria vita avrà fine.
Nei più piccoli, la comprensione della morte non avviene automaticamente, all’improvviso, ma avviene progressivamente durante la crescita. Questa circostanza viene talvolta affrontata dai genitori quando un nonno o una persona cara, legata al bambino, viene a mancare.
Le credenze generali sulla vita dopo la morte aumentano con l’età, in particolare durante e dopo l’ adolescenza. Infatti, sebbene il concetto di morte esista anche nei bambini (attraverso la personificazione della morte, cioè ad esempio pensandola come uno spettro o uno scheletro…) è solo verso la fine dell’infanzia che questo concetto assume tutte le caratteristiche di universalità, irreversibilità, non-funzionalità e causalità che gli sono proprie.
Nel lontano 1948 Maria Nagy condusse uno studio per rispondere alla domanda: ma cosa capiscono veramente i bambini della morte? Nagy teorizzò tre stadi di sviluppo dei bambini in relazione alle idee sulla morte:
1. Il primo stadio, presente nei bambini fino a 5 anni: i morti sono “meno vivi” delle altre persone e le loro condizioni possono essere reversibili; il tema della separazione è l’elemento compreso con più chiarezza anche dai bambini più piccoli.
2. Nel secondo stadio la morte è vista come evento definitivo ma permane la sensazione che possa essere elusa e che non sia inevitabile; c’è una forte tendenza alla personificazione, è presente l’ idea di poter superare la morte
3. Nella terza fase, caratteristica dei 9-10 anni l’idea della mortalità umana viene compresa in modo più simile a quanto accade nell’adulto
A carattere generale emerge dalle ricerche l’immagine di un bambino attivo ed attento anche a temi difficili come quelli della morte: le idee sulla morte si formano gradualmente nel tempo, durante ogni stadio di sviluppo parallelamente all’acquisizione delle altre competenze, in continua interazione con l’adulto. Anche questa ricerca sembra confermare l’esistenza nei bambini una sensibilità e un’attenzione particolare per il tema della separazione e del dolore associato alla perdita.
Per i genitori è di fondamentale importanza ricordare due aspetti ogni volta che si parla della morte con i propri piccoli: è bene rispondere ad ogni domanda da loro posta, infatti, in assenza di risposte il bambino tende a costruirsi idee e fantasie anche peggiori di quella che è la realtà che si sta affrontando. In secondo luogo, è possibile aiutare i bambini di ogni età a parlare della morte, ma sempre utilizzando un linguaggio adatto e chiaro alla loro età.
Bibliografia
Fitzgerald, H., (2002), Mi manchi tanto! Come aiutare i bambini ad affrontare il lutto, Edizioni La Meridiana
Nagy M.H. (1948) The child’s view of death, Journal of Genetics and Psychology, 73, 3-27.