giornata mondiale SLA
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Psicologa e Psicoterapeuta - riceve in provincia di Milano e di Varese per appuntamenti 340.12.29.738

per capire meglio l'impatto della malattia sul paziente e sulla famiglia abbiamo svolto un'intervista alla dottoressa Annalisa Soresini

Oggi, 21 giugno, si celebra la giornata mondiale di lotta alla SLA.

La Sclerosi Laterale Amiotrofica è una malattia degenerativa del sistema nervoso che colpisce selettivamente i motoneuroni, ossia quelle cellule nervose cerebrali deputate al movimento dei muscoli volontari. Essa, tra le malattie neurodegenerative, si presenta come una delle più gravi, in quanto è caratterizzata da un decorso progressivo e implacabile che solitamente conduce alla morte per insufficienza respiratoria nel giro di 2-4 dall’esordio della sintomatologia: il paziente, con l’avanzare della malattia, sperimenta un’irreversibile perdita di autonomia e funzionalità motoria, respiratoria e legata all’espressione della parola e alla capacità di deglutire.

L’eziologia della SLA risulta ancora oggi sconosciuta, anche se diversi studi sono arrivati ad individuare una serie di possibili ipotesi causali. In generale, grazie alle ricerche più recenti, possiamo affermare che vi è un’ipotesi che sta prendendo sempre più piede: fattori genetici – mutazioni genetiche – e ambientali – metalli, solventi o pesticidi – condurrebbero simultaneamente e attraverso complessi “percorsi” allo scatenamento della malattia.

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Per questa giornata mondiale di lotta contro la SLA, abbiamo chiesto alla dr.ssa Annalisa Soresini di spiegarci meglio quale sia l’impatto della Sclerosi Laterale Amiotrofica sulla mente e sulle relazioni del malato. Annalisa Soresini è infatti attivamente impegnata presso il Centro Clinico NeMO (NeuroMuscular Omnicenter), un Centro polifunzionale ad alta specializzazione situato all’interno dell’Ospedale Niguarda Cà Granda di Milano, che si occupa della presa in carico globale delle persone affette da malattie neuromuscolari e neurodegenerative, offrendo supporto clinico, assistenziale e psicologico, volto a migliorarne la qualità di vita.

All’interno di questa struttura collabora alle ricerche e al sostegno psicologico verso i pazienti e i loro familiari.

Dottoressa, cosa accade nella mente di chi è colpito da questa patologia? “Ricevere una diagnosi di SLA può essere considerato come un vero e proprio evento traumatico che comporta un cambiamento di vita notevole e in grado di scatenare una serie di importanti reazioni psicologiche nella persona che la riceve.

Il percorso che il paziente fa per arrivare a fronteggiare la malattia, nel contesto della SLA, possiamo dire che è reso complesso dal fatto che tale patologia non presenta possibilità di guarigione o, comunque, di un recupero anche solo parziale dello stato precedente alla malattia.

Il processo di adattamento – parliamo di adattamento e non di accettazione proprio in  relazione all’estrema gravità che questa diagnosi porta con sé e che quindi rende difficile pensare a una possibilità di totale accettazione – in questi pazienti risulta poi profondamente influenzato dalla terminalità che caratterizza la SLA, dimensione con la quale il paziente è chiamato continuamente a fare i conti, soprattutto con il progredire della sintomatologia. A questo si aggiunge inoltre la dimensione della avanzante disabilità, che pone sempre più la persona di fronte alla questione del fine-vita e che riduce gli spazi di autonomia del soggetto, impedendogli oltre che il movimento, anche la comunicazione, la respirazione e la nutrizione autonoma.

Molte persone possono quindi sviluppare vissuti depressivi e ansiosi, che vanno ad influenzarne la qualità di vita, rischiando di portare ad una condizione di solitudine  e isolamento. Tali reazioni possono essere paragonabili a quelle esperite in caso di lutto: in questo caso il lutto è rappresentato dalla perdita di integrità fisica e della completa funzionalità del corpo.

Le principali ricerche relative alla salute psicologica dei malati di SLA si sono quindi concentrate su tre grandi aree: la qualità della vita, i disturbi depressivi e ansiosi.

In generale, non è però presente un accordo in letteratura rispetto alla prevalenza di tali disturbi: contrariamente a quella che potrebbe essere quindi l’opinione comune, sono numerosi gli autori che dimostrano come, nello specifico della SLA, la maggior parte delle persone abbia un adattamento alle circostanze decisamente migliore rispetto alla media delle altre patologie croniche, sebbene essa, data la sua gravità, possa avere ricadute emotive e psicologiche da non sottovalutare.”

Come cambiano le relazioni in famiglia, quando un proprio caro è colpito dalla SLA? “La condizione di disabilità provocata dalla SLA non coinvolge solamente la persona che porta su di sé i segni e l’espressione della malattia, ma influisce profondamente anche sui suoi familiari e sulle persone vicine e affettivamente coinvolte nella relazione. La malattia entra nelle dinamiche relazionali in modo devastante, modificando i rapporti tra le persone, nonchè minando il loro benessere soggettivo e creando un profondo impatto dal punto di vista psicologico. Essa chiama l’intera famiglia a mettere in atto un processo di  riorganizzazione e riadattamento dei propri ruoli e dei propri tempi per sopperire alle funzioni del paziente che con il tempo diventano non più sostenibili.

Nonostante ciò, non bisogna dimenticare che la famiglia non è solamente un soggetto che subisce passivamente le conseguenze della patologia: essa ha anche, e soprattutto, il grande potenziale di essere una risorsa in grado di aiutare il paziente nel suo percorso di fronteggiamento della malattia, supportandolo, grazie al proprio sostegno e alla propria presenza,  nel processo di adattamento ad essa.

Sebbene, dunque, sia l’intera famiglia ad essere colpita dalle conseguenze della malattia, solitamente e però un’unica persona che si trova ad essere coinvolta totalmente in questa drammatica situazione, e che è chiamata a prendersi carico in prima persona della cura del paziente: si tratta di coloro che vengono definiti come caregivers , ovvero quelle persone che vivono a stretto contatto col soggetto malato, occupandosene nel modo più efficace possibile.

La presa in carico di una paziente affetto da SLA risulta essere un compito particolarmente intenso e in grado di assorbire la maggior parte delle forze e del tempo a disposizione del caregiver.

Ai caregivers viene quindi richiesto, accanto all’ingente impegno fisico per sopperire alle abilità che il paziente progressivamente perde, di far fronte all’impatto emotivo che la malattia porta su di sè e sul proprio caro, al processo di adattamento ad essa e di riorganizzazione della propria vita in funzione dell’assistenza al paziente, con un conseguente aumento del carico di lavoro che i nuovi compiti assistenziali comportano.

In generale gli studi presenti in letteratura mettono quasi tutti in evidenza il forte impatto che la malattia ha, dal punto di vista psicologico, sociale ed emotivo, sulla vita dei caregiver, in termini di una crescita dei livelli di ansia, depressione e carico assistenziale, che si muovono parallelamente al progredire della malattia, e conseguente peggioramento della qualità della vita.”

Quale può essere l’aiuto e il contributo dello psicologo e della psicologia? “Essendo la SLA una malattia degenerativa e progressiva, costringe coloro che ne sono affetti ad affrontare due grandi difficoltà: la mancanza di trattamenti in grado di arrestarne l’evoluzione e la perdita progressiva delle funzioni fisiche, accompagnata da una forte dose di dolore e sofferenza. In un’ottica di presa in carico multidisciplinare, non essendoci cure a disposizioni, obiettivo principale è quindi il miglioramento della qualità di vita del paziente, senza però dimenticare che la malattia influisce profondamente anche sul contesto familiare in cui esso è inserito e su coloro che, in maniera continuativa, sono impegnati nel compito di cura. Cosi come per altre malattie importanti il supporto psicologico dovrebbe svolgere un ruolo di sostegno, offrendo uno spazio sicuro all’interno del quale le persone abbiano la possibilità di esprimere i loro sentimenti ed emozioni, ed essere accompagnati nell’analisi dei loro vissuti di paura e dolore. La figura dello psicologo può svolgere un ruolo estremamente attivo e essenziale nel percorso di riabilitazione dei pazienti affetti da SLA, garantendo un’attività di sostegno in ciascuna fase della malattia e nei confronti della famiglia e del caregiver, impegnati nella presa in carico del congiunto malato. Il lavoro dello psicologo viene investito così di una forte importanza nell’ambito del percorso di cura rivolto sia al paziente che ai familiari: i vissuti e le emozioni che posso irrompere nella vita di una persona con SLA e della sua famiglia, devono poter trovare uno spazio e un tempo per essere espressi.”

Ringraziamo la dottoressa Soresini per le informazioni e invitiamo voi a condividere questo post per sensibilizzare tutti su questa patologia così invalidante e per sostenere la diffusione delle informazioni più corrette. Grazie

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